Abbiamo partecipato alle lezioni di Letizia Espanoli sullo
yoga della risata. Abbiamo partecipato attivamente e ne abbiamo dato conto, ma
oggi occorre fare una riflessione ed è che se le sedute di yoga aiutano a
controllare diversi stati di malessere e anche di malattie a livello personale
è anche importante come elemento di produzione di consapevolezza di gruppo. Così
almeno ci è parso di capire. Un a seduta di yoga della risata non si fa da
soli, si fa in gruppo e i benefici non sono del singolo soltanto ma del gruppo.
Ora la riflessione deve andare avanti però. È chiaro che si è parlato di uno
strumento di miglioramento della condizione psicofisica di un singolo e di un
gruppo, ma non basta essere in una forma migliore. Il gruppo che ci interessa
non è composto da persone che appartengono tutte allo stesso ruolo professionale,
ma è composito e potenzialmente conflittuale. La predisposizione positiva è
utilissima per creare il presupposto di un’azione che, per essere efficace, non
può essere lasciata alle reazioni istintive negative o positive che siano. Il gruppo
composito è quello che da un anno ormai andiamo proponendo come “La Squadra” cioè
il team multi professionale che presiede all’attività di assistenza socio-sanitaria.
È proprio qui il punto: si tratta di erogare assistenza su due piani diversi. È
un po’ come l’assistenza tecnica alle automobili di oggi. Non si tratta più semplicemente
di curare la meccanica cioè gli organi del movimento e che esprimono la forza
del mezzo ma anche tutti gli altri che presidiano quella che può essere definita
l’intelligenza dell’automobile. Così si
parla di meccatronica come noi parliamo di assistenza socio-sanitaria. Ci dobbiamo
occupare della salute della parte meccanica, quella che garantisce la funzionalità,
la capacità di movimento l’esclusione di interferenze dolorose che debilitano
la struttura organizzata del corpo ma dobbiamo anche far in modo che questa
struttura in movimento abbia una ragione, mantenga un senso al proprio movimento
e così come nell’automobile a poco varrebbe un motore perfetto se l’elettronica
on funzionasse, allo stesso modo nell’uomo a poco varrebbe un corpo funzionale
se l’anima avesse perso voglia di vivere. Dobbiamo cercar di capire come si fa
a far in modo che un’anima abbia ancor voglia di rimanere in un corpo. Primo il
corpo deve essere sano, deve funzionare, in modo ritenuto almeno sufficiente. Bene,
qui cominciano i primi problemi. Quale sarà il livello in base al quale il
corpo a giudizio dell’anima che vi abita sarà considerato funzionante? Uno può pensare
che deve poter svolgere perfettamente tutte le funzioni di un soggetto adulto
giovane (25 – 30 anni) un altro basta che cammini o mangi da solo, un altro ancora
basta che pensi, un altro infine basta che respiri. Sono tutte giuste, o tutte
sbagliate, non sta a noi decidere come pensa un’anima! Il fatto è che dobbiamo
aiutare quest’anima a farsi una ragione del suo stato e rendere davvero
positivo il rapporto col mondo. Allora per fare questo bisogna che la pare
meccanica sia rimessa e mantenuta al meglio, è ovvio, ma sapeèndo che non fine
a se stessa. La protezione di cui l’uomo va circondato deve fargli percepire il
senso di sicurezza. Io sono consapevole dei tuo bisogno, faccio quello che devo
per mantenerti in efficienza fisica e nel contempo ti rendo consapevole di
questo. Non con un discorso esplicito, sarebbe una comunicazione fasulla. Ti rendo
consapevole del fatto che il mondo ti vuole mantenere con sé ti rendo parte
integrante di un tutto entro il quale abbiamo ruoli diversi ma integrati. Forse
è questa la via capire che l’integrazione è un concetto così ampio che
trascende i principi organizzativi e sale a principio di convivenza. Essere
curanti o curati non significa essere
soggetti di un rapporto asimmetrico dove qualcuno da e qualcun altro riceve avendo
come oggetto di contropartita dello scambio una somma di denaro costituito dal
prezzo dell’assistenza. I rapporti in realtà sono due ed entrambi simmetrici. Il prezzo è l’elemento di scambio
tra il lavoratore e il datore di lavoro da un lato e tra l’ospite e la
struttura ospitante dall’altro. L’utente non paga più l’affitto della sua casa
o le spese condominiali o il mutuo o le spese per il supermercato e paga invece
la retta di ricovero. Questo è il rapporto simmetrico per così dire commerciale,
quello che ha come elemento di scambio il dinaro. L’altro rapporto è quello
umano tra le persone e l’elemento di scambio non è il denaro. Ognuno sa che
vorrà stare in vita finché chi lo circonda lo accoglie con favore. Mi ricordo
un concetto: non c’è foglia che abbandoni l’albero se l’intero albero in
qualche modo non è d’accordo. [1]” Dunque un essere umano resta
in vita non solo finché la macchina funzione ma finché si sente integrato. Ecco
dunque dove si trova il punto di riferimento dell’integrazione: nel soggetto
che riceve la cura che deve sentirsi integrato nel mondo. Già perché l’anima e
il corpo non vanno disgiunti, sono un tutt’uno e non possono funzionare se non
sono in sintonia. L’integrazione professionale deve garantire questa sintonia. Gli
operatori devono sapere che la necessitò fondamentale del loro lavoro è la cura
che è efficace solo se integrata e integrante. Il corpo (e anima) curante deve sapere
questo e il corpo (e anima) curata anche.
[1]
E come la singola foglia non
ingiallisce senza che la pianta tutta ne sia complice muta, Così il malvagio
non potrà nuocere senza il consenso tacito di voi tutti. Insieme avanzate, come
in processione, verso la vostra essenza divina. Voi siete la via e i viandanti.
(Kahlil Gibran – Il Profeta – Cap 12 sulla colpa e il castigo)
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