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martedì 6 dicembre 2011

ANOSS - Sez. Emilia Romagna - Rinnovo del Direttivo


Yoga della risata

Tutto è una lezione di vita, tutti quelli che incontri, tutto ciò che vivi, quando ti svegli al mattino ed apri gli occhi tutto è una lezione di vita. Fa che ogni esperienza diventi la tua lezione di vita. A volte, è facile farsi trasportare dal dolore. Se non si ottiene un lavoro che si voleva o se un rapporto non funziona, significa solo che c’è qualcosa di migliore là fuori che ti aspetta”
Stephen Littleword


Letizia e lo yoga della risata
Con questa citazione Letizia Espanoli  chiude il suo pezzo sullo Yoga della risata recentemente pubblicato sul magazin on line "Per lunga vita" (Per leggere l'intero articolo clik qui).





Il tavolo dei relatori al workshop "Yoga della risata"
Qui vogliamo solo ricordarvi che nel workshop di Bologna del 9 novembre scorso ANOSS ha preso parte con un intervento del dott. Pisaroni che mettiamo a disposizione degli interessati.
  (Per l'intervento di Piasaroni CliK Qui)




Letizia Espanoli nel suo articolo ricorda che fu condotto un test sull’efficacia personale la settimana prima delle sessioni di Laughter Yoga; lo stesso test fu ripetuto la settimana dopo e a distanza di 60-90 giorni. Lo Yoga della Risata venne somministrato per 15 minuti al giorno, per 14 giorni
I risultati mostrano miglioramenti significativi nel gruppo sottoposto a terapia della risata, in ogni area, con cambiamenti positivi del 100% in un gran numero di aree.
Oltre al fatto che i partecipanti alle sessioni “imparano ad indossare dei sorrisi sui loro volti” creando armonia del campo elettromagnetico, vi sono molti altri motivi per cui è auspicabile applicare la terapia della risata nei posti di lavoro
Aumenta i livelli d’ossigeno nel sangue ed il rilascio di endorfine causando un senso di benessere e ad una sensazione di freschezza che dura tutto il giorno
Riduce le inibizioni, aumenta l'autostima e sviluppa la leadership nei partecipanti, migliorando notevolmente le relazioni interpersonali
Il pubblico del workshop
Aiuta a rimuovere le tensioni causate dallo stress e da uno stile di vita sedentario, tramite la respirazione profonda e lo stretching del collo e delle spalle
Aumenta la resistenza corporea alle malattie e virus, in quanto stimola il sistema immunitario
Aiuta a controllare l'ipertensione e le malattie cardiache, l'irritabilità, l'insonnia, l'ansia, la depressione, i disordini allergici, l'asma, le bronchiti, il mal di testa, i dolori dovuti all’artrite, alla spondilite cervicale e al mal di schiena
Produce uno stato di rilassamento immediato essendo la risata una delle forme di meditazione più facili da praticare
Fa comprendere alla gente che la felicità e la risata sono stati mentali che non devono essere condizionati degli alti e bassi della vita. Se ci si comporta come una persona felice appena ci si sveglia, la chimica di questo stato mentale diventa reale
Sviluppa la consapevolezza della forza del gruppo

I Racconti di Gianluigi presto in libreria!




……doversi curare delle persone che stanno attraversando l’ultimo miglio della loro esistenza, e quindi, accompagnarle in questo cammino, non e’ cosa semplice.
Ci vuole uno spirito di positività  in una realtà che di positivo ha ben poco……..
[GianLuigi Rossetti]

Riportiamo la prefazione a cura di Nicola Pisaroni 
Vicepresidente di ANOSS Sez. Emilia Romagna


A coloro che si fanno portatori di assistenza..
Senza amore non potremmo sopravvivere. Gli esseri umani sono creature sociali e prendersi cura gli uni degli altri a vicenda è la base stessa della nostra vita.
Tenzin Gyatzo

Trascorrere buona parte della mia giornata tra i corridoi dei nuclei di degenza di una casa residenza per anziani non autosufficienti, soffermarmi per diverse ore al centro diurno, osservare il lavoro degli operatori socio sanitari in Istituto e degli assistenti domiciliari sul territorio ha dato corpo ad una domanda, dettata dai miei studi, dal mio vissuto in ambito infermieristico circa il ruolo dell’assistenza, della passione e del piacere del prendersi cura nelle professioni sociosanitarie e nella società in genere.
Per il lavoro di cura non sono disponibili regole di azione e codici di comportamento standardizzati: il lavoro di cura è in larga parte lavoro di relazione. Quando la relazione di cura è vissuta in modo allargato e diventa attenzione partecipe al vissuto, allora l’agire professionale diventa opera di civiltà perché si esce dai confini della relazione prevista e si costruiscono contesti allargati di presa di cura.
La fatica del lavoro diventa sopportabile quando il pensare l’esperienza ha la forma di una pratica condivisa con altri, perché lo sguardo dell’altro mi aiuta a trovare un’interpretazione intelligente dell’accadere quotidiano[1].
Dai racconti di GianLuigi e dalle poesie di Patrizia si percepisce proprio il loro sguardo verso questo accadere quotidiano pocanzi citato; il loro piacere nell’assistere il prossimo derivante dal vivere esperienze nel momento in cui lo mettono in atto.
Il piacere della cura deriva dall’utilizzo dei sensi per riuscire a cogliere sensazioni sempre più sottili. A man mano che prendiamo maggiore coscienza dei nostri sensi, le sensazioni diventano letteralmente straordinarie. I normali eventi quotidiani possono fornire un piacere intenso se si vive l’esperienza più pienamente attraverso tutti i nostri sensi[2]. Essi ci forniscono l’esperienza di ciò che accade nel nostro corpo, le nostre emozioni ed i nostri pensieri mentre succede qualcosa, anche nel corpo di un’altra persona. Ecco quale è la passione di assistere e ciò che ritengo abbia spinto GianLuigi e Patrizia a scrivere: il loro piacere di farlo.
Un pensiero ed un ringraziamento, quindi, va a tutte quelle splendide ed indispensabili persone, spesso operanti nell’ombra, che come GianLuigi e Patrizia quotidianamente applicano il proprio agire professionale con piacere e passione a favore della società.
Nicola Pisaroni

Questa la prefazione del libro che attualmente è in fase di stampa. Potremo leggerlo a breve subito ne presentiamo un saggio pubblicando il racconto che in un certo senso è quello dal significato più pregnante e che caratterizza tutto lo spirito del volume.

Vai al racconto clicca Vita da OSS 

[1] Masera G. Prendersi cura dell’altro. Il Pensiero Scientifico Editore. 2006
[2] Whitmore J. Coaching. Alessio Roberti Editore. 2009

A teatro!


La recita di Irene e Letizia


Abbiamo pensato, dopo la performance del PAI, di offrire un momento spettacolare. L’idea era quella di presentare due distinte situazioni quella impersonata dalla  “maschera tragica” cioè del disagio e del senso di impotenza di fronte alla gravità del rapporto con la persona che richiede assistenza e quella che offre la via d’uscita nel rispetto del “sogno” che ogni operatore ha avuto nell’avvicinarsi a questo lavoro. 


L’idea della drammatizzazione a scopo formativo, in nuce nella presentazione del PAI, si è sviluppata e ha trovato la sua consacrazione nella performance finale di Irene Bruno e Letizia Espanoli che rivelando una insospettabile perizia scenica, hanno catturato non semplicemente l’attenzione ma anche la più profonda anima emotiva della gente interpretando i due personaggi che ci eravamo proposti di rappresentare.

La prima (Irene) ha portato sull’improvvisato palcoscenico tre figure drammatiche riferite al rapporto operatore - utente demente, operatore - utente incontinente e, da ultima, quella del parente che deve elaborare il senso di colpa per l’istituzionalizzazione della madre.
Per vedere il video clik qui
La seconda (Letizia) ha invece sollevato gli animi, ha aperto l'intervento dichiarando che il suo sogno è che si possa fare questo lavoro soffrendo di meno. Ha ricordato che i sogni hanno bisogno di coraggio e passione. Ha fatto l’elogio del desiderare riferendosi all'etimologia della parola. De-siderare: togliere dalle stelle, togliere dal potere immutabile segnato dalle stelle e porre davanti a noi ciò che con la nostra opera vogliamo realizzare. Per vedere il video clik qui 
E questa è la frase con cui si è chiuso il suo monologo: “… c’è una sola parola che conta: Vita! E ogni sera ci dobbiamo domandare quanto vita siamo riusciti a portare nella nostra vita e nella vita delle persone di cui ci siamo presi cura. Abbiamo un solo obbligo: essere persone felici!!”

"La Squadra"

Un momento di lavoro de "La Squadra"

Al “forum sulla non autosufficienza” tenutosi a Bologna il  e 10 novembre scorsi, ha partecipato anche la nostra associazione dando il proprio contributo e sostegno a diversi interventi e proponendo, in particolare, due eventi del tutto innovativi per il nostro settore. Dopo il successo del talk show realizzato al mattino del 10 ANOSS, al pomeriggio, ha presentato “La Squadra”, un intervento formativo e pratico gestito con modalità del tutto diverse dal consueto.
Si è trattato della presentazione di un compito svolto da una squadra vera. Anche se, in realtà, per ragioni pratiche mancavano alcune professionalità, di fatto i presenti erano tutti operatori di uno stesso ente, abituati a lavorare insieme da diverso tempo. Insieme hanno presentato un caso pratico di PAI, per l’esattezza, anch’esso vero; cioè una persona realmente esistente a cui semplicemente si è dato un nome convenzionale. L’idea che si è cercato di realizzare è sostanzialmente questa: parlare di PAI non è una cosa nuova ma non è inutile, parlarne in modo non cattedratico è forse la via per crescere insieme. Non è stato forse una grande novità nei contenuti, è vero, ma si è trattato di una forte provocazione e ha raggiunto l’obiettivo quanto a penetrazione e coinvolgimento, quindi sotto il profilo formativo è stato un intervento valido e importante.
Il workshop del resto non si poneva tanto l’obiettivo di insegnare ma semmai quello di illustrare le difficoltà nella gestione di un gruppo di lavoro attraverso un esempio di vita concreta. Questo è l’elemento determinante della penetrazione nell’interesse del pubblico, il fatto che l’evento si è svolto per così dire “alla pari” imponendosi come parte costitutiva del vissuto professionale dei presenti. E questo è ciò che ha assicurato il coinvolgimento. Una drammatizzazione semplificata di una prassi consueta e diffusa entra senza mediazione nella mente dei presenti, si impone per la sua semplicità e stana il pensiero nascosto e restio cosicché ognuno si senta chiamato a formulare un paragone tra ciò che vede e sente e ciò che abitualmente fa o pensa.
Al termine, visti i risultati di numero e i feedback ricevuti si possono giudicare positivamente due aspetti. Prima di tutto, appunto, la capacità di catturare l’attenzione per la naturalezza con cui un argomento di lavoro è stato reso alla portata di tutti con una sorta di rappresentazione che vedeva ogni operatore presente non uno spettatore ma un soggetto coinvolto nella scena. Sostanzialmente la platea è stata attratta dal fatto che “in cattedra” c’erano loro, quelli di una squadra che poteva anche essere la loro e quindi, appunto, c’erano loro.
Ciò che manca spesso è il coinvolgimento cioè la sensazione che vede sia i relatori sia il pubblico membri di uno stesso processo. È troppo facile infatti, mentre un relatore o un docente parla, distrarsi e sentirsi trasportati verso altri lidi, verso il problema specifico che più ci assilla o verso un fatto personale. Con questo workshop abbiamo cercato di soddisfare l’esigenza di nuove forme comunicative più efficaci.
Come associazione abbiamo lavorato e continueremo a farlo in questa direzione perché siamo certi, ormai, che nel modo attuale è necessario mettere a punto nuove strategie per “far passare” informazioni e concetti. L’idea di una drammatizzazione sia pur semplificata e improvvisata sembra cogliere nel segno.
C’è un altro punto di forza di questa presentazione sperimentale che mette in luce un ulteriore elemento della sua efficacia formativa. “la Squadra” non è semplicemente stato un evento interessante sul piano emotivo, ma è stato anche un potenziale invito ad attività future di confronto reale. Lo si è anche dichiarato, alla fine, ma al di là delle parole è intrinsecamente e per la sua stessa caratteristica uno strumento utile per introdurre una forma di benchmarking.
 Sembra abbastanza auspicabile implementare processi di benchmarking per una consapevole revisione dei valori-obiettivo di prestazione da raggiungere e all’individuazione delle best practice da studiare e imitare. Sostanzialmente per studiare i processi altrui ed eventualmente importarli in casa propria è indispensabile un luogo dove questi processi di lavoro vengono descritti e rappresentati.
Non sempre l'imitazione sarà fattibile completamente sia per le diversità strutturali di base sia per il fatto che ogni cambiamento si scontra con le inerzie, i vincoli e la cultura della propria realtà aziendale, ma, intanto è importante conoscere e confrontare!
Dunque il workshop “La squadra” ha una sua funzione strategica e formativa rispetto a questa pratica di sviluppo aziendale attraverso il confronto normalmente definita pratica di benchmarking, perché ha aperto una via semplice e naturale. Presentandosi senza formalità ha eliminato qualunque distanza col pubblico e ha creato dibattito, cosa molto apprezzata e non sempre ottenuta specie nella tradizionale piattaforma comunicativa dei convegni.
Siamo certi che quanto meno ci sia stata attenzione e curiosità e, per dirla in breve, tutti quelli che hanno pensato:  “ma noi lo sappiamo già e, anzi, lavoriamo meglio!” bene, tutti questi sono dei potenziali interpreti di analoghe performance che a loro volta stimoleranno osservazioni contrastanti e/o di consenso da parte di altri potenziali interpreti e così via.

Alla fine si è parlato, un po’ scherzosamente per la verità, di fare un torneo nazionale del PAI. D’accordo, è un’idea un po’ strana e difficile da realizzare, ma se lo facessimo davvero? Quale migliore occasione per diffondere cultura utilizzando le differenze! A ben pensare bisognerebbe proprio farlo!